lunedì 5 maggio 2014

Israele / I soldati che non ci stanno



aprile 24, 2014 • by Redazione • 2014, 
“Rompere il silenzio” è un’associazione composta da militari che raccontano le atrocità che hanno visto. Eccone un campionario
di Antonio Rolle
«All’inizio sembra tutto semplice e scontato: le informazioni che ti danno, quello che ti raccontano e che senti dire ecc. Quando esci da quella logica e inizi a considerare le cose da una prospettiva diversa, allora ti accorgi che tutto quello che hai fatto non va proprio e pensi che devi cambiare registro (…) Ora ho capito che il mio impegno deve essere quello di riflettere con gli occhi di un soldato». Si chiama Shaul Yehuda. È un ebreo religioso di Gerusalemme. Ha servito l’esercito d’Israele come soldato semplice e come comandante di un’unità di fanteria nella Cisgiordania occupata, durante la Seconda Intifada, dal marzo 2001 al marzo 2004. Ha operato soprattutto nella città di Hebron. Shaul è cresciuto in una famiglia ortodossa di Gerusalemme: figlio di un’ebrea americana e di un ebreo canadese emigrati in Israele nel 1973. Ha studiato in un insediamento illegale di coloni, in un liceo, vicino a Ramallah. Alcuni membri della sua famiglia sono stati coloni occupanti a Gaza. Shaul Yehuda è il fondatore, assieme ad altri compagni d’armi, della Ong israeliana Breaking the Silence, Rompere il Silenzio, (Shovrim Shtika, in ebraico). L’Ong è costituita da veterani e soldati che forniscono testimonianze del loro servizio militare, nella Cisgiordania occupata, a Gaza, a Gerusalemme est, durante la Seconda Intifada, negli anni 2001-2010. Dalla sua fondazione a oggi, Breaking the Silence (BtS) ha raccolto più di 800 testimonianze di prima mano di soldati semplici e di comandanti delle varie brigate israeliane che operano nei “Territori”. BtS è riconosciuta, sostenuta e finanziata da molti stati del mondo oltre che da varie organizzazioni in Spagna, Inghilterra, Olanda, Belgio, Norvegia, Irlanda, Usa (Open Society Institute). E da Unicef, New Israel Fund e Christian Aid.
Gaza
Durante l’operazione, denominata “Piombo Fuso”, del 2009 a Gaza, BtS ha raccolto le testimonianze di 30 tra giovani soldati e riservisti, combattenti regolari provenienti da varie unità dell’esercito israeliano. Sono stati mesi terribili per i civili di Gaza. I bambini uccisi sono stati centinaia e più di un migliaio i civili: 1417 palestinesi sono morti e quasi 4500 feriti gravi. Infrastrutture di ogni genere hanno subito devastazioni inimmaginabili: ospedali, cliniche private sostenute da organizzazioni internazionali, scuole, moschee e chiese distrutte o gravemente danneggiate. Nessuna di queste strutture erano obiettivi di tipo militare. Le testimonianze affermano che sono state lanciate bombe al “gas fosforo” in direzione di aree densamente popolate (sono ordigni che una volta che hanno colpito i civili, le ferite di questi continuano a bruciare e non c’è possibilità di spegnerle se non tagliando, asportando e mutilando orribilmente i corpi feriti). Le testimonianze dicono che sono state uccise persone innocenti con armi di piccolo calibro. I soldati che hanno consentito le testimonianze hanno dichiarato che più volte i civili sono stati usati come “scudi umani”, civili costretti, con la forza, a entrare negli edifici prima dei soldati. Tutte queste testimonianze sono state pubblicate, da Breaking the Silence, in un opuscolo dal titolo Testimonianze di soldati nell’operazione denominata “Piombo Fuso” a Gaza nel 2009.
Donne soldato
Nel gennaio 2010, BtS pubblica un libro dal titolo Donne soldato, rompere il silenzio. Avere testimonianze da donne soldato è sempre un’impresa difficile. In generale, le donne soldato, tendono a autorappresentarsi come molto più dure degli uomini soldato anche per una concezione distorta nei confronti del ruolo della donna negli episodi di guerra. Perché devo essere considerata io il sesso debole? Perché io quella che dovrebbe avere compassione, pietà e considerazione del nemico in guerra? Anch’io sono un soldato e tra me e gli altri (maschi) non ci deve essere differenza! Questo è spesso il sentimento di una donna soldato. Nel caso del libro pubblicato da BtS, su 96 testimonianze di donne soldato, le donne assumono semplicemente il ruolo di cittadine consapevoli, indignate di fronte agli abusi dell’esercito israeliano e denunciano le brutalità senza infingimenti. Parlano di «umiliazione sistematica operata sui palestinesi, di violenza sconsiderata e crudele, di furti e di uccisioni di persone innocenti (…)».
Libro nero dell’occupazione
Ma la pubblicazione che ha, in un certo senso, seminato più panico nel governo israeliano e nel suo esercito è del 2012. In italiano, che non ha avuto ancora l’onore della pubblicazione, può essere tradotta con “Occupazione dei Territori – Testimonianze di soldati israeliani – 2000-2010”. Il libro pubblica 145 testimonianze di più di 100 soldati che hanno operato in tutta la Cisgiordania occupata, nelle centinaia di checkpoint situati nelle città e nei villaggi palestinesi (Hebron, Nablus, Tulkarem, Jenin, Ramallah, ecc.).
Breaking the Silence, dice Shaul Yehuda, «(…) lavora con una logica molto semplice: a noi soldati ci chiedete di fare un lavoro e ci inviate nei territori occupati. Bene, ci siamo andati e abbiamo fatto quello che ci avete chiesto. Ora, c’è una cosa che vi chiediamo: non vi diremo per chi votiamo ma desidereremmo che qualcuno si sedesse accanto a noi e che ci ascoltasse su tutto quello che abbiamo vissuto nei “Territori” palestinesi». E ancora: «(…) Le storie raccontate si sostanziano di abusi sistematici, incoraggiati spesso dai superiori: soldati che cercano, quasi per divertimento, delle case palestinesi da occupare. Palestinesi arrestati, detenuti e picchiati. Distruzioni, saccheggi di proprietà (…) solo per “educare” i palestinesi e far comprendere loro che l’esercito israeliano è presente». Shaul Yehuda, durante il suo servizio militare, ha operato soprattutto a Hebron. Quella città, sacra per gli ebrei e per i musulmani, ha una sua tipicità, ripetono continuamente i media israeliani, il governo e l’esercito. È un caso estremo. Il fondatore di BtS ha un’altra opinione: «(…) Quelli che vogliono mantenere l’occupazione dicono che Hebron “è un caso estremo”. Io non lo penso. Penso che Hebron sia un dono di Dio. Se passeggi a Hebron per una mezza giornata, nei due kmq occupati, capisci che cosa avviene in tutti i territori occupati. Hebron è il microcosmo della Cisgiordania. Se si fa uno zoom di Hebron, la città rappresenta la Cisgiodania: la stessa politica, le stesse crudeltà e umiliazioni contro i palestinesi. Hebron è più densa, più visibile ma non estrema».
Le reazioni
Alla pubblicazione del libro, le reazioni, miste a rabbia, dell’esercito israeliano, sono state durissime. «Su Gaza, le testimonianze non possono essere verificabili perché anonime. Sono accuse per sentito dire», afferma l’esercito. «In generale, le testimonianze dei soldati sono il frutto di una ideologia anti Israele e di disconoscimento e prevenzione contro la democrazia israeliana. Il libro, infatti, nega che l’azione dell’esercito israeliano, venga eseguita come “autodifesa”. (Che è la verità, afferma l’esercito, di quello che proprio avviene!). Non si tratta di terrorizzare la popolazione civile palestinese! D’altro canto le falsità sono evidenti quando il libro afferma che Gaza è ancora occupata e che Israele attua una pulizia etnica nell’area C di sua competenza». (La Cisgiordania è divisa, secondo gli accordi di Oslo, in tre zone: A – B – C. La zona C, circa il 65%, è occupata completamente da Israele).
Di fronte al rifiuto dell’esercito israeliano di credere come autentiche le testimonianze di BtS, le risposte dell’Ong sono state nette: «BtS opera un’attenta verifica di tutte le testimonianze/informazioni raccolte, incrociando anche le testimonianze stesse. I dati personali dei soldati che hanno testimoniato potrebbero anche essere messe a disposizione per qualsiasi indagine ufficiale e indipendente, se fosse garantito che le identità dei testimoni rimanessero segrete e non di dominio pubblico. (…) Molti degli intervistati erano ancora in servizio, quando hanno testimoniato. Erano state proferite minacce gravi contro coloro che avevano testimoniato, minacce di condanna e imprigionamenti. Il tutto con lo scopo di incutere paura su altri eventuali testimoni (…)».
Il rifiuto
Sono di ieri le dichiarazioni della 17enne Dafna Rothstein Landman che, con altri 50 suoi coetanei, si è rifiutata di servire l’esercito israeliano: «I soldati violano diritti umani e compiono azioni che il Diritto internazionale considera crimini di guerra. Ci opponiamo all’occupazione dei Territori palestinesi (…) a esecuzioni mirate, costruzione d’insediamenti colonici, arresti amministrativi, torture, punizioni collettive». «(…) Razzismo, violenza, discriminazioni etniche», questo esprime la nostra società – dicono gli adolescenti israeliani. «Quando vai nei villaggi (palestinesi) e conosci le persone, parli con loro, vedi cosa soffrono, allora capisci che non sono credibili le notizie che la sera ascolti dalla televisione e comprendi di aver avuto la possibilità di capire la realtà dell’occupazione.

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